Arrivammo molto in alto nel paese, su una specie di piazza, e non c’era più sole, non c’erano più campane da capre né zampogne, non c’era mia madre, non c’erano donne, e l’arrotino mi indicò una bottega.
“Volete conoscere uno che ha un punteruolo?” mi chiese.
Una testa di cavallo sormontava in legno dipinto l’arco di pietra della bottega, e ai lati dell’ingresso, agli stipiti, e agli stessi battenti aperti della porta io vidi appesi corde e cuoi, con fiocchi, campanelle e pennacchi multicolori.
Lasciò l’arrotino il suo trabiccolo nella piazza, e saltò dinanzi a me sulla soglia, mi portò dentro. “Ezechiele!” gridò. “Ezechiele2
Era un lungo corridoio dentro, con fondo buio, e corde e cuoi, fiocchi, campanelle e pennacchi, redini, fruste, selle, ogni sorta di paramenti e finimenti da cavalcatura appesi come fuori alle due pareti e perfino sospesi al soffitto.
“Ezechiele!” gridò di nuovo l’arrotino mentre avanzavamo.
Di dietro a noi arrivò qualcuno di corsa, ci urtò con dolce violenza, passò oltre, e una voce di ragazzo esplose:
“È Calogero, zio Ezechiele!”
Continuammo noi ad avanzare per lo stretto passaggio, tra paramenti e finimenti di cavalcatura, selle, redini, fruste, eccetera; e ormai andavamo tentoni, in perfetto buio, scendevamo nel cuore puro della Sicilia. L’odore era buono, in quel cuore nostro, era, per le invisibili corde e i cuoi, come di polvere nuova, terreno, ma non ancora contaminato dalle offese del mondo che si svolgono sulla terra. Ah, io pensai, ah se davvero credessi in questo … E non era come se andassi sottoterra, era come se andassi sulla traiettoria dell’aquilone, avendo l’aquilone negli occhi e perciò non avendo altro, avendo buio, e avendo il cuore dell’infanzia, siciliano e di tutto il mondo.
Ma infine scorgemmo dinanzi a noi un lumicino, e il lumicino divenne chiarore e un uomo pigliò forma, seduto dinanzi a un minuscolo tavolo con redini e fruste e ombre di redini e fruste penzoloni sul capo.
“Ezechiele!” chiamò l’arrotino.
L’uomo si voltò, e la sua faccia apparve paffuta, e i suoi occhi piccini brillarono come se dicessero: «Si, amico mio, il mondo è offeso, ma non ancora qua dentro!» Con voce armoniosa egli domandò: “Vuoi il punteruolo, Calogero?”
E allora vide me, e i suoi occhi piccini si dilatarono e furono preoccupati, finché l’arrotino, mio aquilone, non disse: ” Non mi occorre per stasera, Ezechiele. Ho trovato quest’amico che ha una lama.”
“Ah, davvero? ” l’uomo esclamò, e si alzò in piedi, di bassa statura, e paffuto in tutto il corpo, con riccioli biondi, con fossette nelle guance, e con gli occhi piccini ritornati vividi come se di nuovo dicessero: «Il mondo è offeso, ma non ancora qua dentro».
Cercò, forse sedie, sotto le cortine di corde e fiocchi e cuoi, smosse rumori di campanelle dappertutto, poi ‘si rimise a sedere senza aver nulla trovato o concluso.
” Digli che mi fa molto piacere, ” disse all’arrotino. C’era, accanto al tavolo, una scaletta di legno che si perdeva tra i finimenti appesi al soffitto, e l’arrotino vi si appoggiò con una mano. ” Anche a lui fa molto piacere, ” rispose.
“Molto piacere ” dissi io.
E l’uomo mi esaminò sorridente, sicuro di sé che mi facesse piacere, ma perché lo aveva detto l’arrotino, non perché lo dicevo io. Fu con l’arrotino che continuò a parlare. ” Mi sembra che si veda bene” disse ancora esaminandomi.
“L’ho visto subito” l’arrotino rispose. ” Non c’è da ingannarsi”
E l’uomo Ezechiele: ” No, non c’è da ingannarsi”
E l’arrotino: ” Egli soffre”
E l’uomo Ezechiele: “Si, egli soffre.”
E l’arrotino: “È per il dolore del mondo offeso che soffre. Non è per se stesso.”
E l’uomo Ezechiele: “Non per se stesso, si capisce. Ognuno soffre per se stesso, eppure …”
E l’arrotino: “Eppure non vi sono né coltelli né forbici, non vi è mai nulla …”
E l’uomo Ezechiele: “Nulla, nessuno sa nulla, nessuno si accorge di nulla …”
Tacquero, e si guardarono, e gli occhi dell’uomo Ezechiele si erano riempiti di tristezza, gli occhi dell’arrotino scintillavano più bianchi che mai, come quasi spaventati, nella faccia nera.
” Ah! “disse l’arrotino.
“Ah! ” disse l’uomo Ezechiele.
E si avvicinarono l’uno all’altro, di sopra al minuscolo tavolo, si parlarono all’orecchio, poi l’arrotino, tirandosi indietro, disse: – Ma il nostro amico ha una piccola lama. È per il dolore del mondo offeso che soffre.
“Si,” l’uomo Ezechiele disse. E mi guardava, i suoi occhi piccini brillavano tristi come se dicessero: «Molto, molto offeso è il mondo, molto offeso, molto offeso, più che noi stessi non sappiamo».
“Poi di nuovo si voltò a guardare l’arrotino.
“Gli hai detto come noi soffriamo? ” chiese.
” Avevo cominciato a dirglielo, ” l’arrotino rispose.
E l’uomo Ezechiele: ” Bene, digli che non soffriamo per noi stessi.”
” Questo lo sa, ” l’arrotino rispose.
E l’uomo Ezechiele: ” Digli che non abbiamo nulla da soffrire per noi stessi, non malanni sulle spalle, né fame, e che pure soffriamo molto, oh molto!”
E l’arrotino: – “Lo sa! Lo sa!”
E l’uomo Ezechiele: ” Domandagli se davvero lo sa.”
E l’arrotino a me: ” Vero che lo sapete?”
lo assentii col capo. E l’uomo Ezechiele si alzò in piedi, batté le mani, chiamò: “Nipote Achille!”
Dal fitto dei finimenti si affacciò il ragazzo che ci aveva urtato nel corridoio. ” Perché, ” l’uomo Ezechiele gli disse, ” non stai qui ad ascoltare le parole nostre?”
Il ragazzo era molto piccolo, con riccioli biondi come lo zio. ” Ascoltavo, zio Ezechiele, ” rispose.
L’uomo Ezechiele approvò e di nuovo si rivolse all’arrotino.
” Dunque, ” disse, ” il vostro amico sa che noi soffriamo per il dolore del mondo offeso.”
” Lo sa, ” l’arrotino disse.
L’uomo Ezechiele si mise a riepilogare: ” Il mondo è grande ed è bello, ma è molto offeso. Tutti soffrono ognuno per se stesso, ma non soffrono per il mondo che è offeso e cosi il mondo continua ad essere offeso.”
Si guardava intorno parlando, e i suoi occhi piccini si chiusero nella tristezza, poi cercarono vivamente l’arrotino. ” E hai detto al nostro amico, ” egli disse, ” che io scrivo sui dolori del mondo offeso?”
C’era infatti una specie di quaderno sul minuscolo tavolo, e un calamaio, una penna.
” Glielo hai detto, Calogero? ” egli disse.
L’arrotino rispose: ” Stavo per dirglielo.”
Ed egli disse: ” Bene, al nostro amico puoi dirglielo. Digli che come un eremita antico io trascorro qui i miei giorni su queste carte e che scrivo la storia del mondo offeso. Digli che soffro ma che scrivo, e che scrivo di tutte le offese una per una, e anche di tutte le facce offensive che ridono per le offese compiute e da compiere.”
” Coltelli, forbici, picche, ” gridò l’arrotino.
E l’uomo Ezechiele posò una mano sulla testa del ragazzo, indicò me. ” Vedi questo nostro amico? ” disse. ” Come tuo zio, egli soffre. Egli soffre per il dolore del mondo offeso. Impara, nipote Achille, e ora bada tu alla bottega mentre io accompagno Calogero e lui a bere un bicchier di vino da Colombo.”
Riferimento
Capitolo XXXV di Conversazioni in Sicilia di Elio Vittorini